11 Mag Guida ai solari e alla corretta esposizione solare (parte 4)
Proseguono le nostre guide sugli abbronzanti e sulla corretta esposizione solare, nella prima guida abbiamo visto la storia e la spiegazione di cosa siano i raggi UV responsabili delle bruciature, nella seconda guida abbiamo approfondito come ci abbronziamo e come funziona la nostra pelle, nella terza guida abbiamo spiegato quando è possibile prendere il sole senza avere effetti negativi in base al fototipo, ora è il momento di capire come proteggersi dagli effetti nocivi del sole. Intatti a seconda delle caratteristiche individuali è necessario ricorrere ad un’adeguata fotoprotezione nei confronti delle radiazioni solari. Possiamo schematicamente dire che vi sono tre approcci possibili al problema:
1. Evitare esposizioni eccessive senza protezione:
Prestare la massima attenzione all’esposizione al sole proteggendosi attraverso l’uso di un abbigliamento adatto, facendo attenzione al colore degli abiti. Infatti i colori chiari danno una sensazione di fresco maggiore, grazie alla loro capacità di respingere le radiazioni infrarosse, ma sono scarsamente efficaci nel proteggere dalle radiazioni ultraviolette. Importante anche è sapere che un tessuto bagnato offre una protezione irrisoria rispetto allo stesso tessuto asciutto. Opportuno è l’uso di occhiali da sole e del cappello. Si ricorda che in Australia sugli abiti e sui cappelli è indicata la rispettiva capacità protettiva (SPF). Si tratta del tentativo di difesa da parte di una popolazione di origine anglosassone, caratterizzata da una carnagione chiara e da un fototipo basso.
2. Abbronzatura naturale:
L’organismo cerca di proteggersi dalle radiazioni solari sviluppando tutta una serie di molecole che interagiscano con le radiazioni e ne riducano l’impatto con la cute. La prima difesa dalle radiazioni solari è nel sudore, dove è presente l’acido urocanico, sostanza in grado di assorbire i raggi ultravioletti. La difesa di eccellenza dell’organismo è sicuramente la melanina e l’abbronzatura che da essa ne deriva. Contrariamente a quanto si crede, la melanina non offre una elevata protezione dalle radiazioni solari, infatti corrisponde ad un fattore di protezione “basso”, però è in grado di inattivare le molecole, dannose per l’organismo, che la luce solare produce nella nostra pelle. La melanina è un ottimo inattivatore di radicali liberi, in grado di catturarli e di impedire così danni alla cute e all’organismo. Queste proprietà sono tipiche delle eumelanine mentre per le feomelanine si osserva un fenomeno opposto. Quest’ultime a causa della loro instabilità tendono a frammentarsi e a dare esse stesse origine a radicali liberi che nel tempo possono essere causa di danni alla cute e provocare, nel peggiore dei casi, addirittura l’insorgenza di neoplasie. In ogni caso la melanizzazione non è in grado di offrire una buona protezione nei confronti delle radiazioni UVA mentre agisce maggiormente nei confronti delle radiazioni UVB
3. Prodotti solari:
Un ottima difesa dalla luce solare, e dalla sua componente dannosa, viene fornita dai cosmetici di protezione solare. Sono prodotti di concezione evoluta che presentano una capacità protettiva estesa su tutto il campo UV (UVA ed UVB), assicurando una protezione, più o meno elevata, da tutte le radiazioni dannose per la nostra cute. In ogni caso si tratta di un sistema di protezione addizionale alle difese dell’organismo che concorre, in sinergia con esse, a limitare i danni cutanei.
Non bisogna quindi dimenticare le più elementari norme di comportamento che devono essere osservate quando ci si espone alla luce del sole
Fattori di protezione
Nell’utilizzo dei prodotti cosmetici solari diventa estremamente importante la determinazione dell’entità della loro capacità protettiva. A questo scopo si è sviluppato il concetto di fattore di protezione solare, riscontrabile sull’etichetta del prodotto cosmetico e indicato con le diciture SPF (Sun Protection Factor) o IP (Indice di Protezione). Tutti i prodotti cosmetici che contengono filtri solari, sono caratterizzati quindi da un fattore di protezione (IP o SPF) che indica la capacità del prodotto di filtrare i raggi UV. Tale fattore di protezione è determinato mediante test fisici e biologici e si ottiene attraverso una semplice divisione tra due quantità di energia (o tra due tempi di esposizione quando la quantità di energia è costante). L’SFP è un rapporto tra la MED (minima dose eritematogena, ovvero minima quantità di radiazione UV che è in grado di determinare la comparsa dell’eritema) misurata sulla cute protetta da un solare, e la MED misurata su cute non protetta.
Quindi un SFP pari a 10 indica che occorre una quantità di radiazioni pari a 10 volte superiore a quella che colpisce un soggetto non protetto per causare l’insorgenza dell’eritema solare.
in cui abbiamo:
MED pelle non protetta → la “Dose Minima Eritematogena per pelle non protetta”, definita come “la quantità di energia radiante richiesta per produrre il primo percettibile ed inequivocabile rossore con confini ben definiti, valutato da 16 a 24 ore dopo l’esposizione”.
MED pelle protetta → la “Dose visiva Minima Eritematogena per pelle protetta”, definita come “la quantità di energia radiante richiesta per produrre un rossore inequivocabile, che eguaglia quello riscontrato per la corrispondente MED non protetta, valutato in un confronto visivo simultaneo in una stanza ed in condizioni di illuminazione standard, da 16 a 24 ore dopo l’esposizione”.
In assenza di questa equivalenza di rossore, il valore della MED pelle protetta è ottenuto per interpolazione tra i valori corrispondenti ai livelli di rossore superiore ed inferiore della MED non protetta selezionata.
MED pelle protetta
SPF = —————————–
MED pelle non protetta
La MED è influenzata da molti fattori:
Determinazione del fattore protettivo uva
La quasi totalità dei prodotti cosmetici presenti sul mercato, presenta una capacità protettiva anche nei confronti delle radiazioni UVA. Diventa necessario quindi determinare la capacità protettiva del prodotto cosmetico nei confronti delle radiazioni UVA che colpiscono la cute. In questo caso non è di alcun aiuto l’arrossamento cutaneo in quanto le radiazioni UVA sono dotate di un effetto eritematogeno praticamente nullo. Si utilizza la determinazione della quantità di energia necessaria a produrre pigmentazione superficiale indicata con la sigla MPD = minima dose pigmentogena.
Per questo parametro si sfrutta l’effetto Meierosky ovvero la capacità delle radiazioni UVA di imbrunire (maturare) la melanina presente nella cute. Si tratta di un effetto di breve durata (circa 48 ore) che permette di avere una abbronzatura dopo l’esposizione alle lampade UVA.
Il procedimento è simile a quello visto per la determinazione del SPF solo che si va a leggere l’intensità della pigmentazione ottentuta. Il valore così ottenuto rappresenta la capacità protettiva nei confronti delle radiazioni UVA del prodotto cosmetico analizzato.
La metodica in vivo presenta delle notevoli analogie con la procedura utilizzata nella determinazione della capacità protettiva UVB e viene suddivisa in due categorie IPD e PPD:
Metodo PPD – Permanent Pigmentation Darkening –
Misurazione colorimetrica dopo 2 ore dall’irradiazione
Metodo IPD – Immediate Pigmentation Darkening –
Misurazione colorimetrica dopo 15 minuti dall’irradiazione (Dà indici più elevati perché alla colorazione della melanina superficiale si somma quella prodotta dall’eritema; meno affidabile del PPD).
Nella determinazione del capacità protettiva UVA viene utilizzato anche il Metodo Australiano (“Broad Spectrum”) – si tratta di un metodo che non conduce alla individuazione di un indice, ma permette di verificare se un prodotto sottoposto al test può vantare o meno una protezione “Broad Spectrum”.
Si tratta di un metodo fisico in vitro, eseguito in laboratorio e che non coinvolge la partecipazione di volontari. In questo metodo si pone il prodotto da testare tra due lamine di quarzo, e viene misurata l’entità (percentuale) della radiazione UVA che riesce ad emergere.
I limiti di questa metodica sono legati al fatto che non si ha una misura esatta del livello di protezione UVA ma si ottiene solo una generica definizione “broad specturm”, non si tiene conto di quello che avviene sull’epidermide vivente. Non viene inoltre presa in considerazione la fotostabilità del filtro che, in una situazione reale, potrebbe ridurre, anche in maniera notevole ed in poco tempo, il suo potere filtrante.
In un prodotto cosmetico, in presenza di una reale capacità protettiva anti UVA, dovrebbe essere indicata l’entità dell’indice UVA (IPD o PPD) o quantomeno dovrebbe riportare la dicitura
“Broad Spectrum”. In assenza di queste indicazioni si può essere indotti a supporre che la protezione anti UVA dichiarata possa essere insufficiente, in quanto non testata.
Valori di SPF
Osservando l’etichettatura dei prodotti cosmetici che svolgono la funzione di protezione solare, si riscontra un progressivo incremento dei valori di protezione solare.
Se negli anni 80 il valore massimo riscontrabile di SPF era di circa 16 oggi è possibile trovare in commercio prodotti riportanti valori di SPF molto elevati, a volte superiori a 100. Osservando le seguenti tabelle si può dedurre come non vi sia un rapporto diretto tra incremento del fattore di protezione e incremento della reale capacità protettiva del cosmetico solare.
Si evidenzia infatti come passando da un livello di protezione elevato (fattore di protezione 20) ad un livello di protezione elevatissimo quale è un fattore di protezione 100, non si ha un equivalente incremento della riduzione delle radiazioni eritematogene ma solo una variazione del 4%.
L’uso quindi di SPF superiori a 20 non è compensato da un altrettanto efficace aumento della capacità protettiva.
SPF | Riduzione delle radiazioni eritematogene |
2 | 50% |
4 | 75% |
10 | 90% |
20 | 95% |
50 | 98% |
100 | 99% |
Ed eccoci arrivati alla fine di questo articolo, nel prossimo scopriremo come difenderci dai raggi dannosi del sole con le creme solari più adatte.